Dimenticato

Misure base 90cm altezza 60cm

Tecnica cemento su juta e acrilico

Anno 20Luglio 2022


Dimenticato” Marco Nava

a cura di Maria Marchese

Una mano di Marco Nava afferra la spatola e la “figge” sulle tele, ‘sì che pieni e veloci istanti appaiano, al ciglio, come inusuali accenti cromatici, che raccolgono, tra i brevi spazi, la destrutturazione artistica di un delirio, oppure, di una cara realtà quotidiana; l’altro palmo, invece, si appropria del pennello e carezza, sui supporti, verità adombrate da “filastrocche compositive” , laddove il dolce canto cela verità profonde.


L’amore nasce dal ricordo, vive di intelligenza e muore per oblio.”

Ramòn Llull

Nell’inchiostro della saggezza antica di Ramòn Llull, odorosa di ratio, ma, anche, di mistero, intingo il mio pennino, per introdurre l’opera “Dimenticato” , dell’artista ferrarese. Ramòn Llull, scrittore, teologo, logico, astrologo, alchimista, mistico spagnolo, vissuto tra il 1200 e il 1300, è stato un temperamento, dedito tanto alla ricerca accademica quanto a quella mistico/riflessiva; il breve verso, infisso, da me, come incipit, sintetizza, esaustivamente, l’euritmia compositiva e narrativa della tela dell’autore di Ferrara.

Parto, quindi, dall’oblìo, dalla dimenticanza, che l’autore spagnolo attribuisce come causa scatenante della morte del sentimento d’amore, e, con esso, abbraccio il titolo, scelto da Marco Nava, “Dimenticato” , per affrontare un percorso, a ritroso, “scivolando” tra trame spazio/temporali, che vivificano l’amore come creatura, nutrita dall’intelligenza e dalla cura, e ne indovano il sorgere nella memoria di un’inflessione dell’anima profonda e radicata.

L’artista stende, dapprima, la iuta, con il suo carattere emotivo tanto frugale quanto tenace, celebrandola come letto natìo fondamentale; trame e orditi accolgono, così, una mescianza di “terra” e acqua; questo connubio celebra la concretezza di un suolo metafisico, eppure, reale e fecondo. Il contesto, ammannito dall'artista serba, indi, il peso e l’intensità per ospitare la levità di una composizione dagli umori favolati, dalle linee essenziali, quasi sinottiche, che vogliono comunicare, in maniera diretta, valori indispensabili.

Un “fill rouge” taglia l'interezza, sottolineando la propria presenza: l’occhio, inevitabilmente, lo individua, subendone il fascino, e, seguendo quella sottile membrana, viene coinvolto addentro l’enfasi di un orizzonte.

Il porporino filo è lì per ricongiungere porzioni esperienziali diacroniche: il ciglio, ivi, infatti, lascia ogni cognizione predisposta da riferimenti pregressi, perdendosi; si ritrova, infine, esattamente, dove l’artista lo coinvolge: in un gioco semplice, i cui ruoli sono narrazione di un complesso stato emozionale.

La molletta, dettaglio infinitesimale, normalmente, in questo caso, assume un’importanza esponenziale: la dimensione è esaustiva di quanto un elemento così piccolo possa avere una rilevanza tanto grande.

Marco Nava ammanta quest’ultima e la dimora dello stesso pentagramma tonale, le cui vibrazioni si muovono dal rosso al rosa antico; originariamente, il colore rosato indicava l’aspetto mascolino, proprio perché era una derivazione del rosso e della sua forza. L’artista lo coglie nella sfumatura, che unisce la figura muliebre e quella maschile, laddove entrambi coesistono, mentre la casa diventa quel penetrale antico, fermo e di riferimento.

Marco Nava riassume l’interezza in una diade di piani intonsi e luminosi, eden sospeso tra terra e cielo.

Ogni conflitto, messo il luce dagli ossimori, gravità e leggerezza, indi, uomo e donna, passato e presente, realtà o sogno, rigore o morbidezza… viene polverizzato dal silenzio di un microcosmo ordinato, che rispecchia il sorgere di un’alba nuova, la gemmazione di una resurrezione, la conciliazione del proprio sé più intimo.

Recensione Di Maria Marchese

Maria Marchese Zooming on Art

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